11 – Maria Respigo, felice di vivere

Sabato prima settimana – 24 FEBBRAIO
Dalla Parola del giorno Mt 5,43-48

Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

Maria Respigo, felice di vivere

Mons. Comastri al termine di una processione in piazza, scendendo dal sagrato per andare incontro agli ammalati, rimase colpito nel vedere una culla. Ma ancor più fu colpito dal fatto che dentro non c’era un bambino, ma lì dentro vi era una giovane donna alta 58 cm di nome Maria Respigo. Gli tende la mano per salutarla. Ma lei ritira la sua, scusandosi: “sa soffro di una brutta malattia, se mi stringe la mano rischia di fratturarmi le dita!”. Era da osteogenesi imperfetta, malattia per cui le ossa non crescono e si fratturano facilmente. Morirà seguito all’età di 39 anni. La storia della sua vita è stata una storia di abbandoni: abbandonata dal padre appena si accorse della sua deformità, rifiutata dai fratelli e dalle sorelle, ha perso la madre a soli tre anni. Eppure, ha raccontato in quella occasione al presule, “a un certo punto ho capito che non sono stata abbandonata da Dio e che anch’io ho una vocazione”.
Sotto il cuscino conservava trentatré fogli con sopra scritto: “Maria Respigo, felice di vivere”.
In alcuni passaggi di quel diario in cui la Respigo scriveva:
“Io esisto per gridare a tutti coloro che hanno la salute
che non possono tenerla stretta in mano, perché la salute è un dono
e se non lo ridoneranno ad altri esso marcirà nelle loro mani”.
“Io esisto per gridare a tutti quelli che si annoiano
che le ore trascorse nella noia mancano a qualcuno
e se non le regaleranno a qualcuno,
quelle ore non li renderanno felici ma marciranno nelle loro mani”.
“Io esisto per gridare a tutti coloro che la notte vanno da una discoteca all’altra,
che quelle notti mancano a qualcuno ed esse non li renderanno felici
finché non le regaleranno a coloro a cui appartengono”.
Concluse, chiedendo al cardinale: “Padre, ma non è bella la mia vocazione?”.

Quando morì venne deposta in una culletta del presepio.

Felice di vivere, perché aveva una vocazione”, ha concluso l’Arcivescovo.