
Per non dimenticare… lasciamo che le parole di papa Francesco di quella indimenticabile giornata diventino il filo conduttore di quest’anno pastorale da vivere insieme, siano le orme sui cui mettere i nostri passi come comunità.
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Vivere!
Come diceva il beato Pier Giorgio Frassati: «Vivere, non vivacchiare!». Questa è la strada per sperimentare in pienezza la forza e la gioia del Vangelo. Così non solo ritroverete fiducia nel futuro, ma riuscirete a generare speranza tra i vostri amici e negli ambienti in cui vivete.
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Farsi prossimo.
Possiamo correre il rischio di cantare l’amore, di sognare l’amore, di applaudire l’amore… senza lasciarci toccare e coinvolgere da esso! La grandezza dell’amore si rivela nel prendersi cura di chi ha bisogno, con fedeltà e pazienza; per cui è grande nell’amore chi sa farsi piccolo per gli altri, come Gesù, che si è fatto servo. Amare è farsi prossimo, toccare la carne di Cristo nei poveri e negli ultimi, aprire alla grazia di Dio le necessità, gli appelli, le solitudini delle persone che ci circondano.
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Vivere l’amore concreto, rispettoso, che si sacrifica.
L’amore è concreto, è più nelle opere che nelle parole. Non è amore soltanto dire: “Io ti amo, io amo tutta la gente”. L’amore si dà. L’amore ascolta e risponde, l’amore si fa nel dialogo, nella comunione: si comunica.
L’amore è rispettoso. Considera sacra la vita dell’altra persona: “Io ti rispetto, io non voglio usarti”.
L’amore si sacrifica per gli altri. Questo è “servizio”. L’amore è servizio. E’ servire gli altri. Quando Gesù dopo la lavanda dei piedi ha spiegato il gesto agli Apostoli, ha insegnato che noi siamo fatti per servirci l’uno all’altro, e se io dico che amo e non servo l’altro, non aiuto l’altro, non lo faccio andare avanti, non mi sacrifico per l’altro, questo non è amore.
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Vivere “in uscita”.
Potremo “vivere e non vivacchiare” soltanto “in uscita”: uscendo sempre per portare qualcosa. Se tu rimani fermo non farai niente nella vita e rovinerai la tua.
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Accoglienza.
“No” a un’economia dello scarto, che esclude i bambini, gli anziani, gli ammalati, i poveri, gli immigrati.
Non dobbiamo rassegnarci all’esclusione di coloro che vivono in povertà assoluta – a Torino circa un decimo della popolazione. Si escludono i bambini (natalità zero!), si escludono gli anziani, e adesso si escludono i giovani (più del 40% di giovani disoccupati)! Quello che non produce si esclude a modo di “usa e getta”.
Gli anziani che sono la memoria e la saggezza dei popoli. La loro longevità non sempre viene vista come un dono di Dio, ma a volte come un peso difficile da sostenere, soprattutto quando la salute è fortemente compromessa. Questa mentalità non fa bene alla società, ed è nostro compito sviluppare degli “anticorpi” contro questo modo di considerare gli anziani, o le persone con disabilità, quasi fossero vite non più degne di essere vissute. Questo è peccato, è un peccato sociale grave.
Gli ammalati, sono membra preziose della Chiesa, sono la carne di Cristo crocifisso che abbiamo l’onore di toccare e di servire con amore.
I migranti non vanno colpevolizzati, perché essi sono vittime dell’iniquità, di questa economia che scarta e delle guerre.
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Solidarietà.

Mettere a disposizione dati e risorse, nella prospettiva del “fare insieme”, è condizione preliminare per superare l’attuale difficile situazione e per costruire un’identità nuova e adeguata ai tempi e alle esigenze del territorio. È giunto il tempo di riattivare una solidarietà tra le generazioni, di recuperare la fiducia tra giovani e adulti.
In questa terra sono cresciuti tanti Santi e Beati che hanno accolto l’amore di Dio e lo hanno diffuso nel mondo, santi liberi e testardi. Sulle orme di questi testimoni, anche noi possiamo vivere la gioia del Vangelo praticando la misericordia; possiamo condividere le difficoltà di tanta gente, delle famiglie, specialmente quelle più fragili e segnate dalla crisi economica.
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Diventare “nuovi”.
Riconoscere i propri limiti, le proprie debolezze, è la porta che apre al perdono di Gesù, al suo amore che può rinnovarci nel profondo, che può ri-crearci.
Il segno che siamo diventati “nuovi” e siamo stati trasformati dall’amore di Dio è il sapersi spogliare delle vesti logore e vecchie dei rancori e delle inimicizie per indossare la tunica pulita della mansuetudine, della benevolenza, del servizio agli altri, della pace del cuore, propria dei figli di Dio.
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Essere “roccia”.
Di fronte all’uomo che grida: “Non ce la faccio più”, il Signore gli va incontro, offre la roccia del suo amore, a cui ognuno può aggrapparsi sicuro di non cadere. Quante volte noi sentiamo di non farcela più! Ma Lui è accanto a noi con la mano tesa e il cuore aperto.
Coraggio! Non significa: pazienza, rassegnatevi. Ma al contrario, significa: osate, siate coraggiosi, andate avanti, siate creativi, siate “artigiani” tutti i giorni, artigiani del futuro! Con la forza di quella speranza che ci dà il Signore e non delude mai. Capaci di non chiuderci di fronte alla difficoltà, di affrontare la vita con coraggio e guardare al futuro con speranza.
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Fare controcorrente.
Essere coraggiosi e creativi. Fare cose costruttive, anche se piccole, ma che ci riuniscano, ci uniscano tra noi, con i nostri ideali: questo è il migliore antidoto contro questa sfiducia della vita, contro questa cultura che ci offre soltanto il piacere: passarsela bene, avere i soldi e non pensare ad altre cose.
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Maria, l’Eucaristia e il Papa.
Ripartire dai “tre amori bianchi” di don Bosco: , e .
Affidamento a Maria. L’amore di questo santo per la Madonna fu assai forte perché “non si vergognò mai della sua mamma”, mentre oggi ci sono molti cattolici che “quasi si vergognano della Madonna o non ne parlano con amore”.
Eucarestia domenicale come centro del nostro essere comunità.
Docili e fedeli alla Chiesa e al papa, seguendone i suggerimenti e le indicazioni pastorali.
(dai discorsi di papa Francesco a Torino, 21 giugno 2015)